Cessione del credito, ecco perché è cambiato
La partita del superbonus del 110% non sembra essere né finita né definita in tutta le sue potenziali applicazioni. La partita intorno alla maxi detrazione fiscale che ha immediatamente suscitato tanto interesse fra famiglie e proprietari di immobili dopo due settimane dalla sua entrata in vigore (il 1° luglio 2020) non è affatto chiusa.
Nessun dubbio sulla sua efficacia e, quindi, conferma come leva di rilancio di un settore in difficoltà. Ma molti dubbi sulle modalità di applicazione. E anche in questa prospettiva al beneficio indiscusso (la possibilità per privati e famiglie di realizzare lavori importanti a costo zero) si contrappone una serie di dubbi da parte delle imprese, su un aspetto in particolare: il meccanismo introdotto e confermato anche per il superbonus del 110% della cessione del credito d’imposta che, per le aziende, significa poter maturare un credito da compensare nei confronti del fisco anziché incassare denaro liquido. Ma è qui che deve essere sorto il problema e che ha portato il Parlamento ad abbassare i tetti di spesa sui cui calcolare la detrazione massima.
Ecco un esempio per capire che cosa sarebbe potuto succedere secondo il vecchio meccanismo e importi: il fornitore anticipa l’importo dei lavori, ma poi recupera il 110% sotto forma di credito di imposta da utilizzare direttamente a compensazione del suo debito fiscale.
Ed è questo il tema messo sul tavolo. Anche se l’obiettivo era positivo, di favorire cioè i lavori edili superando la mancanza di liquidità delle famiglie e delle imprese, e anche le difficoltà intorno ai meccanismi di cessione del credito e, direttamente collegato, dello sconto in fattura. Ma ecco cosa sarebbe successo in un confronto con quanto era stato fissato in precedenza, prima delle modifiche che hanno ridotto la spessa massima su cui calcolare la detrazione.
Un esempio: nel caso di un condominio che avesse sostenuto lavori di isolamento termico per un importo totale di 50.000 euro, alla fine si sarebbe tradotto per le aziende in un intervento che non avrebbe prodotto liquidità né reddito. In questo caso, infatti, la spesa da sostenere restava al di sotto del tetto massimo detraibile (fissata in precedenza in 60mila euro). In questo caso, quindi, il condominio non solo avrebbe portato in detrazione tutto il costo dei lavori (50mila euro), ma avrebbe ottenuto anche una percentuale aggiuntiva per un ammontare totale di 55mila euro (il 110% della effettiva spesa sostenuta), e poi avrebbe scelto anche lo sconto in fattura.
L’impresa che ha eseguito i lavori accettando questa soluzione del credito, avrebbe emesso fattura con uno sconto pari all’ammontare della detrazione. L’impresa, a questo punto, poteva sfruttare il credito di imposta, portando in compensazione al proprio carico fiscale. Oppure avrebbe potuto cedere ad altri soggetti (con il super bonus del 110%, sono ammessi anche banche e altri intermediari finanziari come le assicurazioni) l’importo del credito d’imposta.
Alla fine di questo percorso, il condominio avrebbe realizzato lavori di riqualificazione a costo zero, senza sborsare un solo euro. E l’impresa avrebbe acquisito un credito d’imposta di 55mila euro, senza ovviamente incassare nulla.
Ma le novità sulla formula del credito di imposta da utilizzare direttamente o cedere ad altri operatori presenta anche altre novità. La trasformazione della detrazione in credito di imposta da cedere a fornitori, banche e altri intermediari finanziari, sono opzioni consentite ora, oltre che per gli interventi agevolati con il superbonus, anche per gli altri lavori di recupero del patrimonio edilizio agevolati che usufruiscono delle precedenti misure dell’ecobonus ristrutturazioni, di efficientamento energetico agevolati e con l’ecobonus tradizionale previsto nel caso di installazione di impianti fotovoltaici e di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici.
Le perplessità e i dubbi delle imprese ora sono al centro delle proposte di modifica. E fra le ipotesi per rendere i meccanismi più snelli, potrebbe essere introdotta la “cessione frazionata” del credito e la possibilità di operare più cessioni successive, in sostanza il meccanismo cosiddetto “Sal”. ma potrebbe essere prevista anche la possibilità di utilizzare negli anni successivi o chiedere a rimborso la quota di credito di imposta non utilizzata nell’anno, questo per venire incontro agli operatori con minore capienza fiscale.
Ultima ipotesi, anche se in realtà è un ritorno della stessa possibilità già avanzata all’inizio di questa nuova misura, è la proposta di aumentare di 10 punti percentuali (quindi passare dal 110 al 120%) le detrazioni previste per il recupero del patrimonio edilizio, l’efficienza energetica, l’adozione di misure antisismiche, il recupero o restauro della facciata, l’installazione impianti fotovoltaici e l’installazione colonnine di ricarica. A beneficiarne sarebbero le imprese e i fornitori che eseguono i lavori edilizi. La maggiorazione del credito di imposta spettante coprirebbe gli oneri amministrativi e bancari connessi alla cessione del credito d’imposta maturato. Ma su queste ultime ipotesi ora vi sono molte chiusure visto anche l’accordo fatto alla Camera e che ha di fatto blindato il testo di legge.
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